Diamanti duri

Guardo la pioggia scrosciare da una finestra di maggio, tra nuvole e novilunio. Pensieri fitti e bagnati scivolano lenti e veloci insieme, su cosa rifletto? Su troppo, su niente anche. Ché le notizie ti arrivano alla velocità dell’immagine, nemmeno il tempo di succedere e sono lì, farcite di analisi, critiche a cuor leggero. Ogni cosa mi appare non per quella che è, ma dal retro di una pioggia che sembra fuori luogo, esaltando l’odore della stagione su cui si poggia.

E’ consolante che oggi sia Luna Nuova, col suo bagaglio di cose da buttarsi alle spalle, pensieri rotti, insistenze, inesistenze.
Di tutte le intenzioni, quella di ricominciare è sempre la migliore.
Specialmente quando gli inizi sono nuvole rareffate che condensano in triliardi di goccioline imbevute di terra.

Ci sono cose su cui a volte è meglio tacere, non per omettere il loro significato, al contrario. Per non lavarlo via dall’istante in cui è accaduto. Non amo le reazioni a caldo, specie se ho la facoltà di decidere quando e come parlare. Preferisco scricchiolare di pioggia sui tetti e pensare parole che non siano uguali fra loro. Osare pensieri indipendenti, lascivi, senza alcuna conoscenza del mondo obsoleto che hanno intorno.

A volte mi sento disgustata. Dai pensieri altrui, di quello che non dicono. Perché si nascondono? Davvero pensano che le parole abbiano un senso universale? Davvero basta esprimerle perché arrivi il loro significato? E bastano le immagini ad accompagnarle affinché appaiano più visibili? Non credo. Le parole sono i suoni dell’anima che tentano disperatamente di essere se stesse. A discapito dell’eloquenza sgangherata che le si vuole attribuire.
E mi piace diluirmi in loro, come gemma d’acqua nella pioggia, divenendo tutt’uno con esse, senza volerne dominare il senso.

Certi commenti mi hanno stufata, dico ‘ufff’ prima ancora di leggerli. Mi stanco anche dei miei commenti, se li sento pedanti e costruiti. Se non sono emersi da un suolo umido come acqua che sgorga dalla terra, sangue sulla pelle.
Ci vuole umanità, anche per pensare. Non basta sfoggiare disperazione che guarda dal balcone della propria casa.
Detesto il fatto che si giochi a esternare senza ritegno, dove esternazione è pura esibizione di coscienza, senza discernimento, priva di essenza.

E mentre ci penso, continuo a guardare fuori dalla mia finestra di maggio, una delle tante. Una nelle quali parole si addensano in nuvole e tagliano il vetro come diamanti duri.

Nessuna ambizione, per una reale evoluzione

A me piace parlare di cose di cui le persone, in genere, parlano poco o affatto. Mi piace guardare in faccia sentimenti assopiti, parole lasciate cadere a terra, nuvole di pensiero fine, che a malapena vengono notate.
Mi rendo conto che i miei argomenti non facciano ‘tanta presa’ sulle persone quanto quelli più diretti, di cui si parla sempre, di cui è ”logico e lecito” argomentare. Invece, io mi giro dall’altra parte e vado altrove. Lascio che sia la mia sensibilità a suggerirmi cosa scrivere, ma sempre con l’intento di essere letta e in qualche modo, ascoltata. Non ‘a tutti i costi’ condivisa. Piuttosto accettata con la stessa sensibilità che mi pervade.

Sensibilità, il mio alito. Quello che sento a ogni soffio, tra parole che s’incrociano, durante una conversazione, uno sguardo veloce, un sussulto. Odore forte di erba appena tagliata, che cresce e cresce. Non si ferma col tempo, si allunga tra i morsi di un equilibrio precario, quello dell’esistenza, tra gli intrecci, le relazioni. A volte è una faccia fin troppo conosciuta, altre una vera e propria scoperta. Ma si nutre di me e non posso farci niente. O io di lei, non so.

E questa sensibilità, a tratti ingombrante, mi suggerisce ora, in questo pomeriggio stanco dalla serata di ieri, con l’allergia a lacrimarmi gli occhi, di parlare di ‘ambizione’. Una parola che ho già citato nell’unica accezione per me intuibile, che è ostile. Vado a leggermi l’etimologia del termine e dice: lat. ambitione (m) da ambire andare attorno per ottenere voti o uffici (v. ambire). – soverchia cupidigia d’onore e maggioranza.

Però, è proprio un pessimo significato, non c’è che dire. Mi fa pensare alla circuizione, l’abbindolamento da parte di poche o singole persone nei confronti di (molte) altre, per portare a sé vantaggio personale, primeggiare. Nel post precedente a questo, intitolato ‘flirtando con il futuro – la politica è degli esseri umani’, tengo a precisare come concetti e azioni legate all’ambizione spariranno in un ipotetico, ma neanche tanto, futuro. Quello che molti esseri umani al mondo stanno lavorando per far (ri)affiorare il prima possibile. E perché questo avvenga, le parole e le azioni messe in atto dalla cultura patriarcale androcratica, tuttora vigente ma in sicuro declino, si dissolveranno, diverranno ‘ricordi grotteschi’ di coloro che hanno deciso di non prendere parte alla degenerazione umana. Soppiantate o per meglio dire, evolute in parole come collaborazione, supporto. Che varranno in tutti gli ambiti della vita e non già come semplici e ripetitive etichette da inserire sopra scatole predefinite e messe da parte.

Non esisterà il privato separato dal sociale, separato dal politico, separato dalla cultura, separata dai generi, separati dal sesso, separato dallo spirito, no. L’unione a più livelli tra anime di esseri umani sarà una continua partnership, una coesione, dove di sicuro le differenze di ogni singolo individuo saranno rispettate e anzi, saranno, come sono già, profonda ricchezza. E allora, le violente gerarchie create dall’uomo (uomo, sì, è proprio il caso di dirlo ora), non avranno più modo di esistere e affermarsi attraverso stralci di patetiche ambizioni di singoli imbecilli incapaci di amarsi e di conseguenza, amare gli altri.

Ricapitolando, la mia sensibilità mi porta a vedere chiaro verso un futuro dove l’ambizione non esisterà e le persone esprimeranno se stesse al di là di ogni possibile conclusione altrui o propria. L’eloquenza individuale sarà creativa, non persuasiva.

I concetti obsoleti e dispotici di nazione, stato, saranno superati ed emancipati in sorellanze e fratellanze di terre vicine e lontane.

Terre in cui le parole, così come le persone, avranno il peso del loro intento, senza inganno.